Design: alcune direzioni per la contemporaneità. Principio di riduzione e logiche di condivisione.

Design: alcune direzioni per la contemporaneità. Principio di riduzione, Logiche di condivisione, Rivalutazione dell’artigianalità.

Mauro Martinuz

Il design e i processi economici
La situazione contemporanea appare decisamente critica. Alla consapevolezza della mutate condizioni climatiche (Conferenza sul Clima, Parigi 2105) e alla impossibilità di reggere all’impronta ecologica del pianeta non fa riscontro un adeguato paradigma economico-produttivo. La questione che condiziona il modello evolutivo, come è già accaduto storicamente, è di tipo economico-politico, e il design da solo ben poco può fare per modificare in modo efficace e rapido la direzione.
La riflessione sulla contemporaneità ci porta al rapporto tra progetto ed economia. Il design è da sempre un’azione creativo-compositiva che subisce la determinante influenza delle strutture economiche e delle condizioni sociali del tempo in cui agisce. Oggi ci troviamo in una situazione particolarmente contraddittoria: sviluppo tecnologico raffinatissimo e modelli produttivi obsoleti in quanto gravemente inadeguati di fronte alle sfide contemporanee: della finitezza delle risorse, dell’uguaglianza globale e dei necessari processi di sviluppo di molte aree del mondo in cui si vive ancora in condizioni terribili. Ripercorrendo la storia, sono pochi momenti in cui i progettisti, designer e architetti, hanno saputo essere agente di opposizione allo status quo e di proposta alternativa. Sono rari momenti, poi fagocitati dalla suadente e inarrestabile ameba della logica economica. Con la  postmodernità, anche la ribellione più accesa è stata digerita, addomesticata o marginalizzata, resa merce.

Una delle voci più autorevoli ed inascoltate è stata quella di Victor Papanek (1923-1998) che con il suo testo Progettare per un mondo reale, già nel 1971 metteva in guardia contro il progetto consumistico di sola cosmesi, sostenendo le ragioni di un design socialmente valido ed ecologico, per la vita collettiva e per l’ambiente. Un’invocazione potente, resa inoffensiva dalle logiche economiche del produrre-consumare come unica ricetta per creare ricchezza da distribuire.

Una corretta analisi non può essere disgiunta da una valutazione economica del design per lo sviluppo dell’industria. L’industria, che coerentemente mira al profitto, non ha saputo sempre coniugare sviluppo economico e sviluppo socio-culturale. Se ripercorriamo “le strategie vincenti” del design degli ultimi due decenni ci accorgiamo che, in molti settori, la logica dominante è stata quella di “ricaricare” di senso gli oggetti, ritenuti noiosi in quanto freddo strumento, sovrapponendo alla funzione utilitaria  un apparato narrativo, a volte attraente e raffinato, altre volte solo sguaiato. Oggi è evidente, anche se molti perseverano in questa direzione, che questo modello compositivo non è più percorribile a medio e lungo termine, visto il profilarsi della implosione social-ecologica.

Molte sono le analisi che ci offrono una chiara lettura della condizione contemporanea: i lavori di Zigmund Bauman su consumo e consumismo (Bauman, 2011); alcune indicazioni economiche di J. Rifkin che parla di collaborativismo, empatia, umanizzazione dell’impresa e biofilia (Rifkin, 2011, 2014); ed in particolare il pensiero dell’economista–sociologo Serge Latouche che avverte da tempo, come altri ecologisti, della necessità di un deciso cambio di paradigma della produzione e dei consumi. Eppure i modelli di produzione, che continuamente si aggiornano secondo logiche prestazionali di “eco-economicità”, non modificano in modo significativo le forme del consumo e i segmenti di prodotto ritenuti vincenti sono quelli del “lusso”, ontologicamente elefantiaci. Così continuiamo pervicacemente a guardare dall’altra parte, fuorviati da “assurdi” richiami produttivistici, afflitti dalla mancanza di lavoro – problema da affrontare in termini globali -, e temperati nell’angoscia da timidi e parziali correttivi adottati dal sistema economico, egemone su quello politico.
Bisogna quindi “pensare diversamente”, immaginare e definire delle alternative per dare effetto a visioni economiche innovative basate anche su una nuova architettura dei prodotti. Certo, la situazione è particolarmente intricata e compromessa, ma visto il percorso storico economico compiuto e il livello di benessere raggiunto, sta forse a noi europei, pervicacemente pensare a correttivi da attuare e a nuove strategie economico sociali da affermare. Non dimenticando che l’intricato groviglio dei rapporti della globalizzazione rende difficile operare in modo semplice e diretto.

La necessità di rivedere i paradigmi costruttivi

Se le grandi compagnie, con alcune eccezioni, perseguono ancora vecchie rotte si profilano però modelli creativo compositivi interessanti ed innovativi. Emerge oggi da più parti la necessità di una ridefinizione operativa volta ad identificare una nuova organizzazione tecnico-estetica degli oggetti e a nuovi modelli di progettazione-produzione e fruizione. L’atteggiamento che questi soggetti evidenziano è determinato e al cambiamento, all’affermazione di un “mondo migliore”, mosso dalla consapevole analisi dell’oggi.
Tre sono le direzioni che sembrano profilarsi: una forte rivalutazione dell’artigianalità, del saper fare con le mani. Il principio di riduzione come semplificazione per efficienza. Le logiche di condivisione di consumo, progettazione e produzione.
Il ritorno delle giovani generazioni alle attività e al sapere artigiano, impongono dedizione e competenza ma possono offrire un modello di produzione e di vità maggiormente consapevole. In questa direzione già molti autori hanno operato analisi importanti (Sennett, 2003; Micelli, 2011; Pallasma, 2014), che sempre più persone stanno seguendo.
L’approccio riduzionista, che significa maggior attenzione allo spreco delle risorse, all’uso dei materiali e dei processi produttivi, all’ottimizzazione delle tecnologie e alla loro facile fruizione e che non si traduce in un generale arretramento del benessere, ma in una diversa condizone di benessere. In questo senso fortemente innovativi sono i progetti a basso costo e sviluppati per condizioni di estrema difficoltà come la Solar suitcase _www.wecaresolar.org_ l’ Off grid box _www.offgridbox.com_, la Wonderbag_ www.wonderbag.co.za e il Warka Water _www.warkawater.org_ (e l’elenco potrebbe continuare) che a noi paiono fornire paradigmi progettuali adattabili a situazioni di benessere, che senza correttivi durerà ancora per poco.  Interessante per la direzione progettuale suggerita, oltre che per il risultato estetico, è il lavoro del designer olandese  Dick van Hoff  _ www.vanhoffontwerpen.nl _ che ha ripensato alcuni piccoli elettrodomestici come strumenti ad azionamento manuale, rendendone leggibile la struttura materico compositiva.
Una soluzione alternativa al modello di consumo vigente è l’utlizzo condiviso degli strumenti.
Le esperienze di condivisione, dovute in parte alla consapevolezza della rilevanza degli atti individuali e collettivi di consumo – progettazione – produzione sull’evoluzione della socialità, si stanno sempre più diffondendo. In questa area si situano le proposte di rilettura della professione del designer offerte da Ezio Manzinidesis-network.org – che da tempo indaga sui risvolti sociali della progettazione diffusa e della co-progettazione. Manzini, partendo dalla considerazione che operazioni di progettazione sono sempre più diffuse a livello individuale e collettivo, vede il ruolo del designer esperto come facilitatore dello sviluppo e della messa a punto di modelli collaborativi. Questa proposta apre a nuovi spazi d’azione della professione che da un forte legame con l’industria e la produzione di massa, passa ad offrire servizi e consulenza per l’affermazione di organismi di produzione-consumo innovativi e decisamente postindustriali.

Una prospettiva simile per atteggiamento e aperta a nuovi modelli operativi ha portato alla creazione di comunità di progettazione che condividono un sistema compositivo (nello specifico griglie dimensionali) e mettono a disposizione le soluzioni tecniche derivate ( v. OS Openstructures www.openstructures.net ). E’ il concetto dell’Open source di derivazione informatico-telematica  – Linux – che entra con forza nel campo del design di prodotto e ne modifica processi e riusltati. Questo modello ben presto costringerà le aziende a dover dialogare con le entità collettive e a dove adeguare i modelli di produzione e di business. Nella medesima direzione vanno azioni di progettazione-auto produzione dei Fablab che stanno diffondendo la figura del Maker, il designer-inventore-produttore. Anche questo processo costruttivo-creativo contribuisce ad individuare rinnovati modelli economici, maggiormente partecipativi e condivisi (J.Rifkin, 2014). Congiuntamente a questi fenomeni sempre più diffusa è l’opportunità del crowdfunding, la partecipazione finanziaria di tipo collettivo allo sviluppo di un prodotto o servizio. Insomma, pur nella grave difficoltà in cui ci troviamo, molte sono le esperienze significative che si stanno affermando, che qui ci limitiamo ad indicare, e che andrebbero analizzate con maggior cura.

Lo spirito comune che muove molte di queste azioni è un atteggiamento culturalmente solido e attento ai risvolti sociali del produrre, una sorta di rinnovato ritorno, in funzione proiettiva e non meramente storicistica, allo spirito ulmiano. Oggi ci troviamo agli albori di un grande cambiamento, così come è avvenuto a metà Ottocento con l’affremazione della tecnologia ferroviaria e ad inizio Novecento con la diffusione dell’elettricità e dell’elettromeccanica. Dobbiamo essere aperti alla ricerca per fare emergere nuovi è più adeguati paradigmi, sapendo che gli aspetti economico-finanziari devono cooperare per l’affermazione di una visione ecologica e non operare con indifferenza o addirittura contro.

Concretamente come operare? Un’indicazione è ripensare la configurazione degli oggetti e delle diverse costruzioni umane, rivederne la struttura per definire nuovi paradigmi progettuali basati sull’Eco-Progettazione, una sfida che interseca tecnicità e semplicità, sofisticazione e riduzione. L’approccio ecologico dovrebbe far emergere come valore estetico, comprensibile e condiviso, la logica sistemica e quella del disassemblaggio, già assolutamente presenti nella concezione dei prodotti contemporanei, ma in modo mascherato e spesso quasi esoterico. Il progettista deve considerare queste categorie come necessarie, contribuendo cosi ad una diversa sensibilità tecnico-estetica, nel fruitore e nel produttore, condizione necessaria per la diffusione e l’affermazione del nuovo modello progettuale.

Il richiamo alla consapevole rilevanza che gli atti individuali hanno sull’evoluzione sociale,  passa attraverso la bellezza del saper fare, il rispetto e la conoscenza della materia. Passa attraverso il rigore compositivo e la cura del dettaglio. Il processo di cambiamento non è da leggersi come sterile richiamo alla riduzione di per sé – il mero utile -, ma un accorato invito alla necessaria rivalutazione di visioni più adatte alla conservazione della serenità, alla conservazione del mondo.