Medium digitale e output analogico. La ricerca artistica di Marco Valente

Medium digitale e output analogico. La ricerca artistica di Marco Valente.

Marco Valente, designer e artista, è docente di Design Research presso LABA

Il lavoro di Marco Valente si basa su di una precisa base teorica: indaga il rapporto tra realtà digitale – il medium digitale – e realtà materico-fisica – l’output analogico. Ciò cha sta al centro della sua ricerca è sulla rilevanza dei processi adottati per la creazione della forma nel passaggio da dato digitale a dato analogico .

E’ sempre più evidente la smaterializzazione delle forme offerta dalla digitalizzazione della realtà. Rimane un dato imprescindibile, e quindi costitutivo, sul farsi della forma il processo di restituzione in materia delle composizioni digitali attraverso l’esecuzione a mano o tramite macchina. In origine, il medium digitale rende l’opera un file contenete  tutte le informazioni che rendono l’opera unica e già compiuta in sé, ma al contempo “vituale”, un’opera “in potenza”, perché non ha materia, dimensione, funzione.

L’opera “in potenza” si tramuta “in atto” nel momento in cui viene individuato il processo di produzione e definito con precisione il tipo di output analogico  Sia esso una stampa su tela, una fusione a cera persa, uno stampaggio ad iniezione, una stampa in polveri di gesso o di marmo.

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Secondo aspetto del lavoro di Marco Valente è l’indagine “sul mezzo”, il software – medium della creazione – che ha un suo linguaggio, una sua preordinata applicazione che tende a costringere l’utilizzatore e ad addomesticarlo. Il lavoro di Valente parte invece dall’assunto che i software sono strumenti che non solo vanno conosciuti per le loro caratteristiche e performance, ma anche indagati attraverso le loro ambiguità che permettono interventi non previsti e dai risultati, a volte, imprevedibili.

Nell’operare con i software, Marco Valente dichiara di favorire l’attuazione di alcune operazioni tipiche del modellatore CAD, combinandole a gesti spontanei e casuali. Ciò che ne esce sono risultati compositivi molto diversi. Successivamente, salvati i risultati che paiono interessanti, incomincia un lavoro di scomposizione, somma-sottrazione, deformazione sino al compimento , definitivo e chiuso, della forma.

 

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Il lavoro non prende l’avvio, a priori, da immagini e volumi predefiniti. La velocità esecutiva dei modellatori permette all’artista di indagare e sperimentare in modo rapido un numero elevatissimo di possibili esecuzioni. Un’ampia serie di varianti sono fissate e lasciate sedimentare. Queste opere in potenza vengono poi riprese, anche molto tempo dopo, per completare il processo di composizione. L’opera nata da una sequenza numerica (un file che definisce i parametri della forma) e da un’ampia serie di azioni intenzionali, casuali o di forzatura del software, deve tradursi poi in realtà fisica. Identificata la forma, Valente attiva l’azione di inveramento dell’opera nella materia. Qui il discorso si fa complesso. La forma digitale, in quanto espressione numerica, assume la sua realtà definitiva solo attraverso il processo di materializzazione adottato, che contribuisce, da una parte a definirne la “categoria artistica” come pittura, scultura, monile, oggetto di design, volume d’architettura; dall’altra a precisarne in via stabile la struttura.

Nelle opere sopra esposte il processo di inveramento è avvenuto attraverso la tela. Si tratta quindi di una serie di opere pittoriche. Per questa volta.

 

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