La forma della Merce. Aspetti Semiotici del Design

La Forma della Merce / Aspetti Semiotici del Design
Mauro Martinuz

I prodotti di design, come ogni artefatto, sono strutture dall’alto valore di comunicazione. In questo senso è importante un’indagine semiotica che aiuti la lettura delle logiche del progetto in senso diacronico-storico, comprendendo le peculiarità delle fasi evolutive del design dei contesti nazionali. Utile per meglio interpretare la condizione attuale, delle società del capitalismo maturo, in cui la culturalizzazione del prodotto poggia su due direttrici forti: elementi identitari hi-tech e rimandi ad uno storicismo-di area, il Made in, ancora oggi invocato seppure in una condizione di globalizzazione spinta.

La forma degli oggetti – “la forma della merce” – è in uno strettissimo rapporto con il contesto in cui è stata pensata e sviluppata in concreto, contesto che a sua volta è descritto da condizioni economico-sociali e tecnico-produttive. L’oggetto industriale è un complesso congegno semiotico. Il primo dato che esso deve comunicare è la funzione, deve offrire indicazioni chiare relative al suo uso, introducendo segni che siano facilmente decodificabili e riducano al massimo l’ambiguità.

Continuando l’analisi di un artefatto possiamo leggervi il contesto tecnologico in cui è stato prodotto, osservando materiali adottati e processo di trasformazione. La sua configurazione tecnico-strutturale lo collega ad una specifica d’impresa inserita in un mercato, quindi ad un tempo storico e ad un luogo geografico. (1) Dall’esame di tempo storico e di contesto geografico, immediatamente desumiamo dati relativi ad una condizione sociale, ad un grado di sviluppo di un paese. I dati rilevabili dalla lettura di un artefatto si possono sintetizzare in: tecnologia / condizione culturale / condizione sociale / ambiente geografico / tempo storico.

«Progettare oggetti è progettare merci» ricorda T. Maldonado e gli oggetti, solo in quanto merce, si inseriscono come elementi di valore nella realtà economica. Ne deriva una costante dialettica tra funzionalità ed estetica – il campo d’azione del design – e condizionamenti sociali e di mercato. L’invasiva struttura del sistema economico, seppur mitigata dal potere politico, ha imprescindibilmente condizionato il progetto di prodotto, interferendo nella sua configurazione formale. La mutazione continua delle tipologie e dei linguaggi si è tradotta in necessario artificio strategico di mediazione tra sviluppo tecnologico (di processo e materico) e azione di interpretazione dei bisogni. Questa dialettica tra “formatività” e “bisogni” ha subito potenti interferenze, condannato le industrie ad un constante rinnovo delle merci (per lo meno dagli anni Trenta in avanti in modo sempre più convulso). Il ruolo del design è stato strategico, prima per affermare la nuova bellezza della macchina attraverso il principio di utilità per efficienza – il Razionalismo. Poi per una sofisticata azione culturale che, pur poggiando sul rapporto bisogno-funzione, si è tradotta nell’assegnare alla funzione seconda, quella simbolica, una grande importanza. Oggi ci troviamo di fronte all’imporsi di un’era eco-tecnica che sta imponendo una nuova forma degli oggetti.

Una seconda analisi, maggiormente concentrata sui dati estetici, ci consente di collegare l’artefatto al sistema degli oggetti ad esso corollari e alle funzioni correlate, che determinano il “paesaggio artificiale” in cui quell’oggetto si trova ad essere inserito. La configurazione formale ci permette di comprendere il particolare sviluppo culturale e sociale del contesto che lo ha prodotto, il livello di consapevolezza estetica che caratterizza quell’ambiente. Il confronto tra diversi oggetti prodotti da una stessa azienda mette in risalto una continuità tecnologica che generalmente non contempla salti, ma piuttosto continui passaggi a stadi evolutivi più raffinati, spesso concepiti secondo una Logica sistemica (2).

Consapevoli della pervasività del sistema degli oggetti e di tutta la componente di comunicazione che essi veicolano, si impone un’altra considerazione: l’industria è da tempo un importantissimo agente produttore di cultura. Le imprese, da considerarsi come un organismo complesso, sono un sistema integrato, che vede prodotti, risultati economici, marchio, comunicazioni pubblicitarie, tecniche promozionali, condotta di comportamenti interni e verso l’esterno e scelta degli interlocutori come elementi cooperanti alla definizione della loro identità. Ne risulta che il “sistema azienda”, nell’articolazione delle sue sinergie comunicative e relazionali – e non solo attraverso i dispositivi tecnici – propone modelli di comportamento-consumo, sostenuti da un soggiacente sistema di valori. Al contempo, l’industria non è un’entità a sé. Essa deve tenere conto delle sollecitazioni che riceve dal contesto in cui è inserita, dal mondo della cultura propriamente detto, dalle istituzioni sociali, dalle altre aziende. L’impresa ha la continua necessità di evolversi modificando alcuni dei suoi caratteri. L’insensibilità all’innovazione, la rinuncia alla sperimentazione e alla ricerca, la distanza dalle trasformazioni sociali si traduce ben presto in un progressivo impoverimento che conduce alla marginalizzazione.

La forma del prodotto – la forma della merce – si è dovuta continuamente adeguare alle mutate condizioni del contesto. Questa mutazione continua ad accadere. Una stagione di stagnazione ha richiesto di accentuare nei prodotti gli elementi di efficienza, marcando i caratteri di rinnovata funzionalità; in condizioni di positivo benessere si è agito con maggior enfasi sugli aspetti simbolici. L’approccio razionalista, caratterizzato da rigore e univocità informazionale, è stato affiancato da un intenzionale travalicamento semantico che, caricando l’oggetto di ambiguità e riferimenti ad altro, ha reso il motivo linguistico l’elemento innovatore del prodotto. (3)

In pochi decenni, la forma della merce è passata dai caratteri di massima efficienza-funzionalità per economia del razionalismo, all’ipertrofia stilistica del seducente sistema simbolico-narrativo del postmoderno, sino all’attuale brandizzazione del prodotto. La condizione contemporanea appare come un periodo di passaggio, dove permangono attive le logiche di tipo simbolico accanto al sempre più evidente e improrogabile imperativo di un’eco-produzione, attenta alle risorse energetiche che il sistema industriale mette in campo. Già oggi, ma maggiormente in un futuro prossimo, le normative di tipo ambientale imporranno ai produttori un nuovo modo di concepire la merce.

bShark-1
Svend Siune, Posate Blue Shark, 1965

Siamo in un periodo di forte mutazione. L’oggetto fisico così come l’abbiamo conosciuto sta acquisendo nuovi caratteri. Il suo dato materico si carica di performance mutandolo in oggetto sensitivo, capace di reagire agli stimoli esterni e entrare cosi in dialogo con altri sistemi di oggetti con lui cooperanti nello svolgimento di una funzione complessa. Il cambiamento sta coinvolgendo la stessa “struttura azienda” che, almeno in parte, è in fase di ridefinizione, per le sempre più diffuse situazioni cooperative e collaborative (Rifkin, 2014). Anche l’azione di creazione si va modificando nella sua dialettica con le situazioni di progettazione aperta e con l’affermarsi del prosumer – figura mediana del progettista-consumatore – che interviene come co-protagonista autoriale del progetto. Il design continuerà a rivestire un ruolo strategico per la capacità di identificare e connotare il prodotto. Le industrie, nella loro particolare specificità, dovranno sapersi avvalere di consulenti capaci di determinare la rinnovata forma della merce, una entità più intelligente e più rispondente al rispetto del globo.

   1. Per tipologia gli oggetti si innestano in un ambiente che li prevede, per assolvere bisogni peculiari di quel contesto. Basta pensare agli attrezzi per il cibo, quanta diversità tra una forchetta italiana dai rebbi lunghi e sottili che deve arrotolare spaghetti e una posata scandinava caratterizzata da rebbi corti adatti per bloccare la carne durante l’operazione di taglio. Questa semplice diversità racconta quanto diversa sia la cultura del cibo. Cfr. Eco Umberto, Anche questi fenomeni debbono far parte di un panorama del design italiano, altrimenti non si capisce né cosa sia l’Italia né cosa sia il design, in Sartogo Pietro (a cura di), Italian Re Evolution – Design in Italian society in the eighties, catalogo della mostra presso La Jolla Museum of Modern Art, California, 1982.

   2. La Logica sistemica. Se osserviamo con cura gli oggetti, in particolare quelli più evoluti, ci rendiamo conto che l’innovazione tecnologica viene opportunamente dosata in un continuo compromesso. La velocità di trasformazione deve poter essere adottabile economicamente, per questo è indispensabile una concezione sistemica del prodotto. Seguire in tempo reale le trasformazioni tecnologiche per il sistema produttivo è impensabile senza una mediazione realizzata attraverso modularità, compatibilità delle parti, adeguamento continuo delle prestazioni come aggiunta e non come totale sostituzione: questo per poter ammortizzare, in tempi sempre più ridotti, i costi di ricerca, di progettazione delle attrezzature, di istruzione e di vendita. Oggi anche per obiettivi di eco-progettazione.

   3. Questo approccio, riscontrabile sin dagli anni Sessanta e favorito dalle connessioni tra Design e Pop Art, è stato applicato a tipologie merceologiche dove l’elemento di ambiguità può essere tranquillamente tollerato, non rivestendo effetti negativi sulla sicurezza in uso del prodotto.

Testo tratto da
M. Martinuz, Design Tecnologia Arte, LetteraVentidue