Progettare secondo Natura_Il Design Biomimetico

Progettare secondo Natura_Il Design Biomimetico

Doverosa premessa_Questo breve elaborato vuole essere un’agile introduzione al Design Bioispirato a cui dovranno seguire, necessariamente, degli approfondimenti più puntuali, riguardanti i temi che qui ho avuto modo solo di accennare.

Biomimesi è una parola composita costituita da due termini di derivazione etimologica greca: -BIOS- tra le cui definizioni troviamo -VITA-, e -MIMESIS- letteralmente -IMITAZIONE-. La Biomimesi è, quindi, una metodologia progettuale che pone il suo fondamento sull’osservazione dei fenomeni naturali, siano essi biologici o vegetali, per poter trarne delle soluzioni che possano mutuare i comportamenti degli esseri viventi e produrre così artefatti, nuove tecnologie o diverse strategie, anche di tipo gestionale.

Fin dall’antichità, in modo intuitivo ed empirico l’uomo si è accorto che la natura genera cose straordinarie e che possono essere riprodotte per poter rispondere a delle problematiche “reali”. Un esempio significativo di questo “modus operandi”, già presente nell’antichità, è dato dalle colonne dei templi Egizi i quali si erano accorti della robustezza del tronco delle Palme da dattero (Phoenix dactylifera) dalle quali hanno mutuato la forma in pietra per le loro costruzioni, ancora oggi in piedi. Valentina Rognoli, nel suo testo Il progetto della natura, 2009 scrive: “E’ ormai affermata la tesi secondo cui l’uomo abbia intuito l’applicabilità e l’utilità di alcuni fenomeni naturali di esperienza comune per le attività umane: le ragnatele tessute dai ragni come trappola per le loro prede in movimento sembrano essere state ridimensionate fino a realizzare le reti da pesca”. Questi due esempi tratti da situazioni storiche, intuitive e macroscopiche di osservazione fenotipica Naturale e riproduzione attraverso artefatti umani sono emblematiche di un atteggiamento di osservazione della natura come modello di soluzioni da rileggere e reinterpretare in senso tecnico.

Oggi lo sviluppo tecnologico ci permette di osservare fenomeni naturali anche a livello microscopico, questo ci permette di attivare una mutuazione a livello nanometrico portando alla riconfigurazione di oggetti e soprattutto alla riprogettazione di sistemi gestionali-produttivi.

Siamo spesso portati a progettare oggetti e servizi prendendo l’Uomo come riferimento, frutto di una condizione filosofico-culturale che ci pone al centro e a “capo” dell’universo (antropocentrismo). Questo ha fatto sì che i nostri prodotti, soprattutto quelli tecnologici, siano configurati come il corpo umano: un sistema nervoso centrale che elabora informazioni e dà le direttive di comportamento a tutti gli organi ausiliari. L’esempio di questa modalità di progettazione potrebbero essere oggetti come il pc o lo smartphone, in cui un processore (una CPU) elabora e gestisce tutte le altre componenti del prodotto, con conseguenti problematiche quali, per esempio, la non sostituibilità delle parti o la non possibilità di una configurazione mutevole in base alle esigenze dell’utente.

Questo non avviene nella configurazione vegetale perché ogni parte della pianta contiene in sé la pianta stessa nella sua totalità, essendo progettate dalla Natura in “modo modulare”. Questo potrebbe essere uno spunto che darà il via ad un nuovo modo di configurare gli oggetti: “Le piante consumano pochissima energia, compiono movimenti passivi, sono costruite a moduli, sono robuste, hanno un’intelligenza distribuita (al contrario di quella centralizzata degli animali), si comportano come delle colonie. Quando si voglia progettare qualcosa di robusto, energeticamente sostenibile e adattabile a un ambiente in continua evoluzione, non c’è nulla di meglio sulla terra a cui ispirarsi” (Stefano Mancuso, Plant Revolution, 2017).

Il passo tratto dal testo di Mancuso mi dà l’occasione di meglio precisare il “perché proporre esperienze di progettazione bioispirata all’interno di un corso di Design Sostenibile?”. La prima risposta appare ovvia: osservando in modo macroscopico la “progettazione” naturale e la sua produzione salta subito all’occhio che la Natura non produce nulla di superfluo, ma tutto è in risposta ad un “bisogno reale”, dettato dal contesto e dall’evoluzione. Un’osservazione appena più attenta ci dice che non solo non viene prodotto nulla di superfluo, ma che tutta la produzione è ottimizzata, sia a livello di risorse materiche che a livello di risorse energetiche impiegate. Tutto quello che viene considerato “scarto di produzione” è completamente riassorbito dal sistema o riutilizzato in una vera e propria “economia circolare”.

La seconda risposta a questa domanda viene da una continua analisi proposta dal Prof. Pietro Giorgio Zendrini che è di riflettere intorno all’idea che è possibile fare le cose in un altro modo, e questo altro modo porta con sé un valore “simbolico” che poi si tramuta in uno studio formale che avrà un suo alto valore estetico. “Alcune teorie indicano che la bellezza percepita nella Natura risieda proprio nel principio della sua coincidenza con la Funzione, che è anche il principio della classicità greca della kalokagathìa secondo cui, semplificando, bello coesiste con buono” (Valentina Rognoli, Il progetto della natura, 2009).

Ecco quindi che i progetti che derivano da questa metodologia non possono essere sottoposti ad un giudizio estetico, basato sul “mi piace”, “non mi piace”, ma saranno risultati efficaci e quindi inattaccabili proprio perché “giusti”, per la coerenza rispecchiata e mutuata dal mondo naturale.

Parlando di Biomimesi sento la necessità di dover mettere in guardia relativamente ad un grave e possibile fraintendimento, un uso “improprio” che si potrebbe fare degli elementi naturali. Il rischio è quello di usare l’estetica naturale per creare situazioni di mero stupore emozionale, perdendo di vista la “correlazione” tra la risoluzione del problema offerto dalla Natura e la mutuazione da parte del progettista che si limita ad un puro formalismo organicista. Quello che vorrei emergesse da questo mio breve testo è che il progettista deve porsi in un atteggiamento rispettoso di osservazione della Natura per giungere ad una conclusione, che solo dopo un’attenta riflessione pare ovvia: noi troviamo corretto il modo di progettare della Natura perché noi stessi siamo Natura; la Natura non è al nostro servizio ma ne facciamo parte in un modo che dovrebbe essere simbiontico.

Per esprime più compiutamente questo concetto mi rifaccio alle parole dell’Architetto Frei Otto: “L’obiettivo di quei pochi architetti (aggiungo designer) che oggi intendono costruire in modo naturale non è per esempio costruire case che abbiano l’aspetto di organi o che assomiglino a corpi di animali, che quindi appaiano simili alla Natura, senza essere per nulla naturali. Per essere naturale un prodotto dell’uomo non deve avere l’aspetto di una pianta o di un albero. Il nostro grande obiettivo, (…), è che case e città insieme a piante e animali compongano un biotipo naturale; il nostro fine dunque è che la casa non sia rivolta contro la natura, ma che al contrario l’uomo e la sua tecnica possano essere parti inseparabili della Natura” (Frei Otto, L’architettura della Natura, 1984).

 In chiusura sento di dover introdurre un altro concetto che dà il significato al lavoro di ricerca che insieme al Prof. Pietro Giorgio Zendrini abbiamo sviluppato da alcuni anni in LABA. Una delle urgenze della condizione contemporanea è messa in evidenza da queste parole: “Abbiamo bisogno di attivare un cambio di direzione nella progettualità, nella produzione, nell’utilizzo e consumo dei prodotti…’’.

Quante volte, come docenti, facciamo presente questa necessità agli studenti e quante volte i giovani riescono a capire fino in fondo questa necessità, legata al fatto che non abbiamo più tempo a disposizione? che le risorse del pianeta le abbiamo già finite?

La metodologia del Design Biomimetico offre ai giovani progettisti l’occasione di sperimentare una progettazione ottimizzata nell’utilizzo di risorse e di energie, sviluppando idee e progetti prendendo spunto dalla Natura, che ha ben 4,8 miliardi di anni d’esperienza nella progettazione espressa in una infinità di casi possibili.

Paolo Gasparini – Docente di EcoDesign