Bio-ispirazione_Una strategia per il cambiamento

Bio-ispirazione: Una strategia per il cambiamento
Prof. Paolo Gasparini

L’occasione di attivare una discussione intorno alla progettazione bio-ispirata, mi dà modo di mettere in campo alcune riflessioni legate alla chiara presa di coscienza che ci sia bisogno di un cambio di direzione, non solo nella progettazione e nella produzione di artefatti/oggetti d’uso, ma soprattutto nei comportamenti e nel modo di rapportarci con la nostra “Casa-Mondo” [1].

La ricercatrice italiana Silvana Galassi, con il suo testo “Astronave terra” e l’eclettico inventore americano Richard Buckminster Fuller, con il suo elaborato “Manuale operativo per Nave Spaziale Terra[2] ci mettono di fronte ad una possibile interpretazione: il nostro pianeta come artefatto tecnologico (astronave, nave spaziale) ad alte prestazioni, progettato e studiato nei minimi dettagli per permettere la vita e i suoi cicli.

Pensare alla terra in questo modo potrebbe essere facilmente riconducibile ad una possibile opera dell’uomo e quindi facilmente interpretabile nei suoi misteri e nelle sue logiche di funzionamento. Si potrebbe correre il rischio, facendo nostra questa similitudine, di pensare che: il Mondo come artefatto tecnologico, si può programmare; vi possiamo sostituire delle parti; e come ogni tecnologia evolve velocemente.

“Un pensiero di programmazione”

Interpretare la Terra in modo meccanicistico, come fosse un artefatto, seppur altamente evoluto, è gravemente fuorviante. Potremmo essere indotti a trattare la Terra come uno strumento che possiamo usare e piegare alle nostre esigenze; che possiamo programmare e comandare a nostro piacimento. Così facendo potremmo continuare a pensare di essere noi, “Homo Sapiens-Sapiens”, al di sopra del mondo che ci circonda e continuare a ricoprire il ruolo di padroni indiscussi.

“Un pensiero di sostituzione”

Leggere la terra come artefatto tecnologico ci consente di attivare logiche che vanno nella direzione della riparazione: se un componente si rompe lo cambio, lo riparo. Silvana Galassi[3] pur identificando la terra come “astronave” ci mette in guardia: non è così semplice sostituire i suoi “componenti”!!!
Viviamo in un equilibrio delicato, fatto di interconnessioni, fisiche ed energetiche, come la scienza moderna ci sta indicando. Alterare, anche di poco, un sistema significherebbe andare incontro a conseguenze catastrofiche e insostenibili per la vita.

“Un pensiero tecno-evolutivo”

La tecnologia evolve rapidamente, aumenta le sue prestazioni riducendo sempre più il volume dei suoi dispositivi. Le mutazioni sono talmente veloci che sfuggono alla nostra capacità di adattamento. Per questo motivo siamo alla costante rincorsa per riuscire a mantenere il passo, e non abbiamo il tempo di fermarci a riflettere. Nei confronti della tecnologia, il più delle volte attiviamo un pensiero freddo e distaccato. Difficilmente potremmo attivare un pensiero di correlazione e un pensiero affettivo nei confronti di qualcosa che appartiene al mondo della tecnica (un’astronave, una nave spaziale, sono strumenti).  Si fa evidente l’idea filosofica che pervade il mondo occidentale: il dualismo tra uomo e ambiente che lo circonda, dove l’uomo si è posto come fulcro (antropocentrismo) e si è arrogato il diritto di fare della Natura ciò che vuole, proprio perché possiede gli strumenti per conoscerla e ritiene di poterne modificare i comportamenti.

Ma la Terra, non è un’astronave, strumento-tecnologico, evolve lentamente e per tentativi. Osservare la Natura significa attivare atteggiamenti di riflessione e di meditazione, che vengono prima di qualsiasi azione, sia questa progettuale o quotidiana.
Diventa allora fondamentale tenere a mente le parole del capo tribù dei Duwamish, Capo Seattle, pronunciate nel 1854: “Non è la Terra che appartiene all’uomo ma è l’uomo che appartiene alla Terra”[4]. L’uomo è Natura e come Natura abita questa Terra. “Abitare la Terra”, ecco da dove partire per questa riflessione che prova a mettersi in circolo.

Ecologia significa etimologicamente “pensiero riguardo alla Casa”, dove oìkos sta per “la casa dove vivo”.[5]   Ricordare questa etimologia dovrebbe in qualche modo già darci una direzione d’azione, in controtendenza rispetto alla contemporaneità che vede ancora il discorso ecologico vuoto di reale significato. Se intendiamo Casa come oìkos, che nell’ accezione greca stava per “la casa dove veniva ospitata l’intera famiglia allargata”, ecco allora che sorge immediato il pensiero che questa Casa-Mondo ospita tutta la “mia famiglia”, composta non solo dagli altri esseri umani ma da tutti gli esseri animati e non. Il termine oìkos estende il suo significato fino ad inglobare i campi e la loro produzione, nonché le attività produttive che la famiglia svolge. Ecco quindi il cambio di paradigma: se il Mondo è Casa mia non posso pensare di rovinarla ma, come per una casa tradizionale, dovrò attivare un sentimento di Cura. Se amo la mia Casa non posso deturparla, lasciarla in uno stato di degrado e sfruttarla senza fare nessuna manutenzione, sino a distruggerla. Considerando che il significato di oìkos include anche le attività pratiche della famiglia umana, ogni nostra azione (pensiero, progettazione, produzione) dovrebbe avere lo scopo di migliorare o per lo meno manutenere questa nostra Casa-Mondo. I concetti di Casa, di Cura e di Correlazione con quello che ci circonda, sono i principi su cui impostare la metodologia di progettazione bio-ispirata, per cercare di attivare dei modelli di pensiero che operino nella direzione di una strategia per il cambiamento; per cominciare a ragionare sul fatto che è possibile fare le cose in un altro modo.

 

Dalla Biomimesi alla Bio-ispirazione per una ricerca di sostenibilità

Biomimesi (BIO-bios–vita  e MIMESI-mimesis,–imitazione, “imitare la natura”) significa imparare dalla Natura, non tanto per l’aspetto formale (biomorfismo) che rischierebbe di condurre ad uno sterile formalismo estetico (a volte applicato per suggestionare il consumatore e lasciarlo inerte sul sentiero del consumismo), ma imparare dalla Natura per gli aspetti strategici che ci permetterebbero di riconfigurare gli oggetti d’uso attraverso nuove logiche progettuali, produttive e di utilizzo e tracciare così un nuovo sentiero.

L’uomo ha da sempre imparato a risolvere delle problematiche facendo riferimento ai fenomeni macroscopici riscontrati in natura e applicando una metodologia empirica di sperimentazione. È in tempi abbastanza recenti che questa metodologia si è strutturata secondo un percorso ben preciso fatto di passaggi e soprattutto di collaborazioni interdisciplinari e teams compositi costituiti da designer, scienziati e ingegneri. A strutturare questa metodologia in modo preciso è stata Janine Benyus negli anni ‘90 proponendo “La spirale della vita”[6], uno strumento che esplicita i passaggi fondamentali per arrivare ad un progetto biomimetico: identificare, tradurre, osservare, sintetizzare, applicare, valutare.  La Natura risolve problematiche reali (raccolta dell’acqua, impacchettamento, protezione…), ma attiva anche delle azioni strategiche (risparmio di materia, risparmio di energia, riutilizzo degli scarti…). Osservare queste soluzioni proposte e mutuarle in oggetti d’uso per risolvere le problematiche reali dell’uomo questa è la metodologia biomimetica. Inevitabilmente si va verso una visione di sostenibilità nel momento in cui mutuiamo le soluzioni cercando di imitare la Natura anche nella fase di produzione: in modo modulare, adattando la forma alla funzione, basandosi sul principio di ciclo e riciclo all’interno dei processi e nell’utilizzo delle risorse. Questa modello operativo ci consentirebbe di lavorare intorno alla ricerca di tre tipologie di soluzioni, fondamentali per la condizione della nostra contemporaneità: a) l’individuazione-ricerca di soluzioni strategiche, migliorative delle prestazioni dei nostri artefatti, in particolare si potrebbe avere una riconfigurazione di quelli già consolidati tipologicamente; b) l’individuazione-ricerca di diverse soluzioni produttive, che vadano nella direzione della sostenibilità; c) l’individuazione-ricerca di nuove configurazioni estetiche, connotate da un alto valore formale,  e non da semplice formalismo.

La metodologia biomimetica prevede team di lavoro che abbia all’interno figure professionali provenienti da formazione, esperienze diversificate ed esperienze specialistiche in settori altri rispetto al design. Doveroso citare, in questo senso, una importante realtà italiana che si muove da anni all’interno di questa metodologia fatta di “ibridazione” di saperi (scienziati, fisici, chimici, ingegneri meccanici, ingegneri strutturali, ingegneri dei materiali…e progettisti/designer) l’Hybrid Design Lab[7], centro di ricerca e sviluppo, fondato e coordinato dalla Prof.ssa Carla Langella[8] dal 2006, con lo scopo di proporre all’aziende soluzioni innovative derivanti dall’analisi accurata del modo naturale intersecata con il sapere scientifico e tecnologico.

Il percorso di Eco-Design attivato (proposto) all’interno del dipartimento doverosamente tiene conto di quelle che sono le prerogative dell’attività accademica: la progettazione, l’attività di concept/prefigurazione e il design, la concretezza dei progetti e la sostenibilità. Per questo motivo la metodologia si muove verso una direzione di progetto bio-ispirato dove il peso della riflessione viene spostato, quindi, verso una progettazione che tiene conto dei processi produttivi, della ricerca di soluzioni nuove e, guardando la Natura, inaspettate. Si attiverà all’interno del percorso didattico una sorta di astrazione della metodologia biomimetica tradizionale, forse possiamo parlare di un “alleggerimento” che ci consente la gestione dei progetti senza la necessità di avere costantemente bisogno del supporto tecnico: di fisici, chimici e ingegneri, i quali potrebbero entrare nel team di lavoro all’occorrenza, una volta instaurata una rete di competenze composite. Procedere all’interno di questa bio-ispirazione porterà ad intervenire in campi applicativi, forse, più ristretti, meno eclatanti nella risposta progettuale, ma più concreti e sui quali si possono attivare con precisione e determinazione delle scelte che vadano nella direzione della sostenibilità, per quanto riguarda la scelta di materia e processo produttivo.

Questa metodologia di progettazione bio-ispirata poggia sul concetto della relazione ECO-TECNO-SIMBOLICA proposta dal geografo Augustin Berque[9], fattore che diviene verifica di progetto. L’attenzione costante a questa fondamentale relazione dovrebbe guidare le nostre azioni progettuali, che partono dall’osservazione e dall’analisi naturale. I progetti elaborati si impongono di rispettare i requisiti della sostenibilità (ECO), di valutare, attraverso la tecnica, delle soluzioni nuove (TECNO), nel rispetto della nostra Casa e sviluppare un “segno” che assumerà un valore (SIMBOLICO) di racconto formale, che sia dichiarativo di questa intenzione di Cura nei confronti del Mondo.

Avviandomi verso la chiusura di questo breve elaborato, scomodo ancora una volta Buckminster Fuller: “Il miglior modo di predire il futuro è disegnarlo”[10]. All’interno di questo aforisma, proposto dall’inventore americano, si può leggere la grande responsabilità che ci viene posta sulle spalle, come progettisti e designer. Viene richiesta ai designer, per la loro capacità prefigurativa, la progettazione e la configurazione degli oggetti che verranno “immessi” nel mondo e questi artefatti saranno dichiarativi delle intenzioni dei progettisti: disegnare gli oggetti di domani non è assolutamente un’azione innocente, ogni nostra azione porta con sé delle conseguenze per questa nostra Casa-Mondo.

La scelta di approfondire e meglio definire la metodologia progettuale bio-ispirata è una strada che ritengo estremamente significativa, certo non l’unica che abbiamo, per tracciare i presupposti di una nuova visione delle cose. Un modello operativo e di pensiero che può aiutarci a riflettere sul nostro “abitare”, con Cura e nel rispetto della correlazione che interconnette Uomo e Natura. Pro-gettare oggi è un atto di responsabilità e con questa consapevolezza dovremmo immaginare gli oggetti d’uso di domani attraverso il “buon” design e il “buon fare”, facendo riferimento alla concezione filosofica della kalokagathìa[11] greca dove il “bello” non è mai disgiunto dal “buono/giusto”, concetto che possiamo riscontrare costantemente se guardiamo la Natura che ci circonda nelle sue soluzione tecnico-formali.

[1] Questo agile documento, che non ha la pretesa di essere dichiarativo ed esaustivo, vorrebbe essere lo spunto per fissare alcune riflessioni che ci potranno accompagnare come dipartimento.
[2] Silvana Galassi, Astronave Terra, Aracne Editrice s.r.l., Roma, 2006
Richard Buckminster Fuller, Manuale operativo per Nave Spaziale Terra, traduzione e note di U. Sartori, 2018
[3]  “Lo scopo della prima parte di questo libro, che vuole semplicemente dare spunti di riflessione sul nostro modo di abitare la Terra, è di capire perché la Natura sia così difficile da riprodurre o, per usare le parole di Barry Coomoner (1997), perché “la Natura sia l’unica a sapere il fatto suo” (Silvana Galassi, Astronave Terra, 2006).

[4] Estratto da “Il Manifesto dei Diritti della Terra” discorso pronunciato dal Capo Seattle nel 1854 in risposta alla proposta del presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce, di acquistare parte delle terre su cui vivevano i Duwamish.
[5] Ernst Haeckel nel 1866 conia il termine Ecologia usandolo per la prima volta nel testo Generelle Morphologie der Organismen.Ecologia, parola composita di derivazione greca ECO-oikos-casa, LOGIA -logos-pensiero-discorso, letteralmente “pensiero riguardo alla Casa”, dove oikos ha però come accezione: la casa dove vivo.
[6] J. Benyus e D. Baumeister, fondatrici del Biomimicry Institute, rileggono l’elaborazione grafica di Carl Hastrich, “La spirale della vita”, del 2005, per strutturare la metodologia biomimetica.
[7] https://www.hybriddesignlab.org
[8] Carla Langella: Docente presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, accademica, ricercatrice e progettista; Struttura attraverso le sue analisi una nuova metodologia esplicitata nel testo Hybrid Design, progettare tra tecnologia e natura, FrancoAngeli s.r.l., Milano, 2007
[9] Augustin Berque, ECUMENE Introduzione allo studio degli ambienti umani, traduzione a cura di Marco Maggioli, Mimesis Edizioni, Milano, 2019
[10] Estratto dal testo di Lloyd Steven Sieden, A Fuller view: Buckminster Fuller’s vision of Hope & Abundance for All, Divine Arts, 2012
[11] Kalokagathìa: καλὸς καὶ ἀγαθός complementerietà tra ciò che è bello e buono: ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono è necessariamente bello