Questione di Forma

Questione di Forma

Haec autem ita fieri debent, ut habeatur ratio firmitas,
utilitatis,venustatis.
Queste cose devono essere effettuate in modo tale, che ci sia
una ragione per la stabilita, l’utilita, la bellezza.

Vitruvio

E così. La materia di cui e costituito l’universo, quando si manifesta, manifesta una forma, potremmo dire, che la sostanza della materia non e che un aggregato di forma. Certo la conoscenza scientifica ci sta mostrando che questo aggregato possiede una struttura elementare non ancora pienamente conosciuta, le teorie non tutte concordano, ma sembra che su un punto convergano: ogni punto di arrivo della conoscenza e in effetti un punto di partenza. Tant’è che l’interpretazione della struttura elementare della forma per l’uomo di scienza, parte dall’apeiron di Anassimandro per arrivare ai grani quantistici della fisica teorica attuale. Con poche parole ho cercato di dare conto dell’esistenza di una struttura elementare delle cose; queste, appaiono, sono definite e rappresentate, nella posizione spazio-temporale di colui che le osserva. E proprio, perché siamo noi che attribuiamo nomi alle cose, tant’è che senza di noi le cose non avrebbero nome ne apparirebbero a noi come cose, che cercherò di occuparmi in modo riassuntivo della forma delle cose cosi come si presentano ai nostri sensi a partire dalla nostra connessione con la loro naturalità organica.
Le cose della natura, come sappiamo per cultura, possiedono per condizione evolutiva una forma propria derivata dal grado di adattamento dell’organismo in correlazione all’ambiente naturale; condizione che, per la conoscenza umana in generale, e definita come il principio dell’Umwelt (Ambiente, come mondo percettivo ed effettivo dell’animale, J. Von Uexkull), un principio che nell’uomo si riflette nell’Innenwelt; o, detto altrimenti e con altra sensibilità, fudosei, che è il termine usato dal filosofo giapponese Watsuji Tetsurō per riunire in uno le due categorie; sta a significare che l’uomo e un essere spazialmente “mediato” nella naturalità tra interno ed esterno. Perciò, secondo Watsuji, l’individuo autentico e colui che nella sua individualità cerca di rappresentare il comune (la naturalità) nella sua pienezza. Ecco che con poche parole e due categorie, ho messo in relazione ciò che sta fuori e ciò che sta dentro alla condizione dell’animale
uomo. Ora dobbiamo addentrarci nella condizione propria delle forme che appartengono all’essere uomo, mantenendo pero, sempre ben presente la sua particolarità intrinseca, e cioè la correlazione coimplicata nel fudosei (dentro-fuori); un rapporto che per noi occidentali diviene conflittuale (in somma misura) nel corso del Seicento a partire da Cartesio con la sua teorizzazione di separazione tra uomo e natura.
Di fatto dopo la teorizzazione cartesiana e non solo, si è costituita una linea di demarcazione, un passaggio storico che ha fatto deflagrare il rapporto di coesistenza tra mondo naturale e mondo controllato dall’uomo. Infatti, da allora parti sempre più consistenti dell’umanità non si concepiscono come un tutto organico, ma elaborano un’idea di natura sottomessa agli interessi esclusivi della specie homo. […].
Tralasciamo per brevità di esposizione, il passato primo dell’uomo, che la storia ci ha consegnato come il periodo dell’uomo raccoglitore, dove, per quanto ci e dato sapere, l’uomo utilizzava il proprio corpo come unico strumento necessario per la sopravvivenza, e orientiamo la nostra attenzione sull’origine del rapporto protesico tra l’uomo e l’ambiente. Per definizione e protesico, il rapporto che l’uomo attiva in relazione alla propria abilita di manipolare il mondo delle cose che lo circondano mediante artefatti-utensili da lui stesso costruiti. E, i primi strumenti prodotti dall’uomo nella preistoria, sono il frutto di un esercizio continuo e della sua abilita applicata alla trasformazione della materia; un intreccio continuo di processi relazionali di forma in adattamento tra gesto e materia. Un’amigdala, era innanzitutto generata dallo scopo, e prendeva forma dalla conoscenza e dall’abilita manuale nella lavorazione di due materiali con caratteristiche diverse, per cui alla continua ripetizione del gesto, portato fino all’impeccabilità, corrispondeva la qualità
della forma, e la tecnica, era la tecnica del gesto applicato alla materia.
Man mano che nella storia dell’umanità i rapporti tra la trasformazione della materia in artefatti, e le strutture della conoscenza diventavano più articolate, gli oggetti d’uso iniziarono a essere connessi a significati simbolici.
In un primo tempo, tale correlazione, evocava la naturalità organica del mondo, quasi che, nell’oggetto utensile vi fosse impressa, cooptata, la naturalità stessa della relazione: come se l’oggetto agisse per conto della natura.
Nelle civiltà storicamente più evolute, questa correlazione finì per assumere i caratteri della speculazione filosofica, a tal punto, che la rappresentazione della mimesis con la natura venne portata fino al limite ontologico dell’essere uomo deus-natura; un passaggio questo, che
ha trasformato in maniera irreversibile la storia del pensiero occidentale, e dato l’avvio a quella dualita di rapporto tra poiesis e tekne, tant’è, che i risultati raggiunti in quel periodo storico, nelle arti e nell’architettura, riproducono ancora oggi la sintesi della qualità della forma.
Da allora, e fino alla nostra contemporaneità, lo studio e l’applicazione della conoscenza tecnica e artistica e stata alla base di ogni processo creativo sulla forma. Un processo creativo fondato sull’idea che una forma e bella e adeguata allo scopo, quando non può essere che cosi, come e bella e adeguata allo scopo ogni cosa della natura: un albero, una mano, un fiore, etc.
Procedendo in una successione storica, le correlazioni tra le cose e gli artefatti prodotti dall’uomo, e le rappresentazioni simboliche ad essi associate, hanno assunto caratteristiche sempre più invadenti e rappresentative; e questo e avvenuto al sopraggiungere della necessita di produzione di “forma” rappresentative delle modalità di trasmissione delle sovrastrutture (miti fondativi, esegesi, etc.) necessarie al perpetuarsi degli apparati di controllo funzionali all’organizzazione dei poteri costituiti: religiosi o degli stati-nazione. E, le innumerevoli connessioni politiche, sociali e culturali che si sono dipanate nei secoli, sono oggi a disposizione di chiunque le voglia conoscere e approfondire, è storia già scritta. Ecco dunque, come a partire da questo resoconto, di sicuro approssimativo, si possa incominciare a fare un assaggio dell’importanza che deve assumere la conoscenza delle correlazioni da associare alla qualità della forma; correlazioni che come ho suggerito sono di carattere, tipologico, simbolico, valoriale, sociale, etico, tecniche,
materiche, etc. E proprio come a partire da queste, sia complicato cimentarsi nella creazione della forma senza subire l’inquinamento di una formalizzazione ispirata da personalismi e dalla ricerca nel nuovo a tutti i costi che finisce per portare alla creazione di una forma priva di
qualità (questione di gusto?). Una forma che, sovente, quando si deve parlare delle ragioni della forma, viene descritta dagli architetti-designer come il risultato del gioco delle parti…gioco di volumi, di luce, di linee, di colore, etc. (che siano oggetti scultura?).
Dare forma a un oggetto-artefatto, significa, dunque, essere in grado di correlare (intrecciare) tutto quanto può influire sulla qualità della forma, valutare da più punti di analisi e attivare continue interconnessioni […]. A partire da tutto quanto serve per comprendere l’essenza della ragione della forma, che, nel suo divenire “cosa”, si fa carico dei principi essenziali dell’etica, dell’estetica, della filosofia, dell’antropologia culturale, della sociologia, dell’economia in generale, e di tutto quanto a mio parere appartiene alla categoria delle scienze umanistiche. Infine, a partire, se necessario, dalla comparazione con il già dato, da misure obbligate, da forme prestabilite e dalle conoscenze tecniche; senza dimenticare lo studio (in verità essenziale) della geometria e della composizione della forma, nelle sue interazioni con la teoria della Gestalt, ricordando che: “[…] poiché i cambiamenti della forma materiale sono solo conseguenza di spostamenti della materia, possiamo ancora riferirci all’assioma Ignorato motu, ignoratur Natura” (D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma).
E poi, e ineludibile, per un progettista che vuole definirsi tale, conoscere tutto quanto e intimamente legato ai processi di produzione e consumo, industriali e non.
Certo, la somma delle nozioni non è sufficiente alla creazione della qualità della forma, infatti, alla creazione della forma si perviene da due criteri distinti: il criterio basato sulla necessita di erudizione e il criterio basato sulla “freschezza dello sguardo” (T. Ingold).
E la freschezza dello sguardo, a mio parere, e criterio necessario-essenziale per praticare qualunque arte restando distaccati dalla ricompensa… per la propria attività; un modo di operare che finisce per fondersi con quelle forme senza nome, le forme pure, non macchiate dalla “conoscenza” degli architetti e dei designer. Poi, come scrive Christopher Bollas, “L’attivita di progettare
e costruire non e meramente funzionale ma e produttiva di significato, generatrice di pensiero”. A questo punto, per concludere adeguatamente questa traccia orientativa sulla questione della forma, il buonsenso mi suggerisce di prendere in prestito le parole da Enzo Mari; le sue, sono chiare e sintetiche indicazioni buone per tutti coloro che vogliono cimentarsi con la creazione (messa in
opera) della forma: “Sin dalla preistoria, qualsiasi progetto e sempre basato su tre principi conseguenti: Primo, valutare la qualità del bisogno (siamo accerchiati da bisogni banali, demagocici e disonesti); Secondo, i materiali e le tecniche sono solo strumenti. Oggi sono moltissimi e si può realizzare qualsiasi forma. Anche in assenza di conoscenze tecniche, si inizi con l’acquisizione delle tecniche utili. Terzo, il tipo e la forma dei segni e sempre relativa a quella dei bisogni, ma dipende dalla materia” (E. Mari, Lezioni di disegno).
Come praticante dell’ovvio e del semplice aggiungo una nota finale a questi suggerimenti. Ci vuole empatia e serietà per dare corso a un fare, architettura e design, che si mantenga a una ragguardevole distanza dall’edonismo autoreferenziale e dalle stramberie formali. Perché, interagire
autenticamente con l’ovvio e il semplice, implica, necessariamente, sapersi applicare al mestiere con temperanza (assaporare la gioia pura e semplice del fare); un ingrediente, questo, essenziale e non mercificabile, a disposizione di chiunque intenda contribuire, almeno per la parte che gli compete, a stabilire un rapporto armonioso tra l’uomo e la natura. Ma anche, e sarà più apprezzabile, a dare un senso al ritmo della propria vita.

Pietro Giorgio Zendrini

Testo tratto da Pietro Giorgio Zendrini, Periplo, LetteraVentidue, Siracusa, 2015