OS Kitchen_Una cucina fatta in un “altro modo”

OS Kitchen, una cucina fatta in un “altro modo”

La cultura dell’Open Source applicata al design di prodotto

Tesi di Paolo Gasparini e Jacopo Mauro // Docente relatore Pietro Giorgio Zendrini

La speranza è che da questa filosofia “Maker”….”[….] possa emergere un ritorno ad un modo di percepire e di agire la tecnologia prossima a quella pratica del “buon fare” che sino ad ora ci sembrava impossibile da realizzare. Questo significa, innanzitutto, che ci sarà per noi la possibilità di riappropriarci di quella cultura dimenticata che riunificava il fare con il sapere.”Pietro Giorgio Zendrini

Ma non si può fare in un altro modo?”, chiedeva sempre Bruno Munari. Sì le cose possono sempre offrire un altro punto di vista.

Dalle riflessioni e discussioni sulle logiche che regolano il mondo della produzione industriale, spesso primariamente operanti per ricaricare di senso oggetti che altrimenti passerebbero, “formalmente di moda” a discapito del nostro ambiente-casa (oikos), ha preso avvio l’idea di pensare un progetto cucina sotto una chiave di lettura del “saper fare”, del “costruire-produrre” come fonte di conoscenza. La cucina per la sua funzione intrinseca di luogo dove preparare cibo, consumarlo, pulirlo, stoccarlo; la cucina come contesto della vita e della socialità.

Nel percorso di ricerca di progetto, l’artigianalità è stata rivalutata e ripensata. In questa contemporaneità, descritta da alcuni come terza rivoluzione industriale, sembra profilarsi l’era di un nuovo artigianato, sostenuto dalla diffusione di conoscenze tecniche propagate dai canali di condivisione via internet, che offrono la possibilità di semplificare, internazionalizzare, mettere alla portata di tutti e accelerare i processi di accesso alle informazioni di qualunque tipo esse siano. Queste nuove opportunità prefigurano un modo completamente nuovo di lavorare.

L’obiettivo fondativo del lavoro è stato creare un “prodotto cucina” che diventi parte di un sistema aperto, un’occasione di sviluppo propositivo e condiviso. Per questo fondativo è stato indagare la cultura dell’Open Source che ha come elemento cardine l’idea, fortemente sostenuta, da un punto di vista etico e sociale, che, attraverso la partecipazione, il libero scambio e il lavoro in collaborazione senza vincoli, venga espressa una maggior qualità sia in termini di risultato del lavoro che in termini di creazione di innovazione. La creatività collettiva risulta avere un potenziale di crescita superiore in quanto, oltre al lavoro sul singolo progetto, le persone diventano parte di una comunità e cittadini consapevoli, responsabili nei confronti degli altri e della società.

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Abbiamo analizzato quanto un prodotto open source possa essere tutelato, partendo dal copyright, fino ad arrivare all’informazione aperta e condivisa del copyleft e creative commons, Licenze CC. Gli autori sono automaticamente tutelati dal copyright classico, a meno che non di­chiarino di aver attribuito ai propri contenuti o progetti licenze differenti, per esem­pio una delle licenze Creative Commons.

In particolare le sei licenze pubbliche Creative Commons sono: Condividere; Rielaborare; Attribuzione; Condividi allo stesso modo; Non opere derivate, Condividi allo stesso modo. Oggi gli inventori condividono sempre più spesso le proprie innovazioni, senza nessu­na tutela brevettuale quindi attivano la Creative Commons e tutte le altre alternative alla protezione tradizionale della proprietà intellettuale. Perché lo fanno?

Perché i creatori sono convinti di ottenere in cambio più di quanto regalano: un aiuto gratuito nello sviluppo delle loro invenzioni. Le persone tendono a partecipare ai pro­getti promettenti, e quando quei progetti vengono condivisi, si mettono in comune automaticamente anche i contributi. Gli inventori ricevono anche un feedback, oltre a un supporto nella promozione, nel marketing e nella correzione dei difetti. Si può quindi dire che un progetto aperto non ha le stesse tutele legali di un’invenzione bre­vettata, ma si può tranquillamente affermare che con la condivisione si ha la crescita del prodotto in forma gratuita e globale, costruendosi attorno una fonte di supporto all’attività di sviluppo.

Quando si condivide, si forma una community. E quello che la community sa fare meglio è remixare, ovvero esplorare varianti d’ap­portare al prodotto originario, migliorandolo e propagandolo molto più rapidamente, bloggano costantemente sui progressi compiuti. Scattano fotografie e registrano filmati al raggiungimento di ogni traguardo significativo, e li mettono in rete. Si crea cosi dinamicità ed evoluzione del prodotto più di quanto po­trebbe fare qualunque individuo o qualunque azienda. Lo fanno perché le persone che partecipano, stanno realizzando collettivamente qualcosa che vogliono avere per sé e di cui vogliono essere partecipi, e siccome è un progetto open source, sanno che coinvolgerà altra gente e attirerà altri talenti, creando un circolo virtuoso che accelera il processo di pensiero e innovazione.

Qualunque prodotto che sia in grado di costruire una community prima del lancio ha già dato prova di sé con un’efficacia che pochi brevetti possono eguagliare.

Per giungere a creare e inventare occorre “metterci le mani”, poter operare ad ogni livello entrando in merito al funzionamento e approfondire la conoscenza attraverso la condivisione e l’acquisizione diretta di ciò che è stato fatto da altri, e del modo in cui quanto ci si torva davanti è stato costruito; dall’analisi e conoscenza dell’esistente, alla proposta di innovazione.

Per sviluppare concretamente il progetto ci siamo appoggiati al sistema Open Structure www.openstructure.net

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Negli ultimi anni sono emersi un gran numero di progetti hardware Open Source. Tra questi, alcuni tra i più interessanti sono quelli che perseguono piattaforme o sistemi modulari per diversi usi piuttosto che un singolo disegno o un dispositivo. Il passaggio verso la fabbricazione digitale fai da te è senza dubbio un grande sviluppo per i consumatori, ma una cosa che manca è un sistema standard per la modellazione e la sostituzione di componenti. Se 10 persone caricano un progetto di un bullone di sostituzione per una sedia, otterrete 10 disegni leggermente diversi. Mentre il mondo ha la International Organization for Standardization (ISO) dedicato alla regolamentazione specifiche, le tolleranze e gli standard dei beni di consumo, la comunità della digital fabbrication è circondato da un sistema fratturato, privo di uno standard universale.

L’OpenStructures Project è uno dei più ambiziosi di questi progetti “Open Platform-oriented”. OS tenta di definire una griglia che offra una interoperabilità volumetrica per qualsiasi struttura indipendentemente dalla funzione. Filosofia accostabile al sistema “ken” giapponese che stabilisce regole di proporzione da usare come base delle architetture. In effetti, il sistema di OpenStructures è una ‘piattaforma habitat’ costruita sul fondamento della sua griglia tridimensionale che si estende da singoli pezzi di mobili, attrezzi e macchine fino ad interi complessi di edifici e, potenzialmente incorpora tutti gli elementi funzionali di un self- habitat umano.

Un obiettivo ambizioso e, poiché ancora relativamente nuovo, solo una frazione degli elementi necessari sono stati finora sviluppati. Il progetto OS (OpenStructures) esplora la possibilità di un modello di costruzione modulare in cui tutti i disegni vengono messi a disposizione di tutti sulla base di una griglia geometrica condivisa. All’interno del sistema costruttivo in cui disegni sono a disposizione si avvia una sorta di collaborazione progettuale dove tutti possono contribuire alla creazione di parti, componenti e strutture.  ….

Grazie a questo progetto che si connota come progetto di ricerca, abbiamo potuto indagare più nel profondo. Abbiamo compreso e condiviso gli sviluppi di un’economia di rete che viene gestita da partecipanti interconnessi. Siamo stati coinvolti all’interno di un’infrastruttura di comunicazione nuova, orientata verso la condivisione e lo scambio. Abbiamo appreso come essa stia modificando profondamente i nostri modelli di creazione, produzione e consumo. Flussi e fonti informative decentrate hanno modificato le attenzioni, le ambizioni e gli obiettivi delle persone, stimolando un atteggiamento più critico e propositivo. Invece di deglutire pubblicità curate dai servizi professionali, i consumatori si stanno ora informando, ispirando e istruendo l’un l’altro con dei contenuti che utilizzano, per comunicare la loro abilità, conoscenze e idee, su piattaforme come social network o blog.

Il meccanismo globale del “passa parola” del web ha avviato non solo un dialogo tra i consumatori, ma anche una conversazione tra consumatori e produttori. Questo dialogo emergente sta generando nuove interessanti modelli di business e riorganizzando le attuali pratiche artistiche.

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Il consumatore sta sviluppando un rapporto più attivo con i prodotti: non giudica un oggetto per quello che è, ma piuttosto immagina quello che potrebbe diventare; e gli oggetti stessi stanno iniziando a comportarsi sempre più come puzzle dinamici, versioni del prodotto mutabili, piuttosto che monoliti rigidi.

Da questo dialogo creativo abbiamo visto come un linguaggio comune agevoli i processi di progettazione collaborativa e semplifichi le interazioni con i clienti. Linee guida dimensionali, attraverso la standardizzazione, aumentano la compatibilità tra i prodotti: la progettazione per lo smontaggio, attraverso la costruzione e l’uso di tecniche di assemblaggio riutilizzabili, facilitano l’adattamento e la riparazione.

Nonostante gli evidenti vantaggi che i sistemi come OpenStructures portano, vi è un notevole scetticismo riguardo la loro adozione e d’efficacia; probabilmente perché, fino a poco tempo fa, l’opulenza apparente delle risorse rendeva superflua l’immaginazione di sistemi più flessibili e aperti.

Inoltre, questi modelli sollevano questioni riguardanti la responsabilità, la redditività e l’espressione formale. Come si fa a generare denaro? Come si fa a bilanciare l’apertura e la protezione, la libertà e la restrizione? Tutti gli standard, per definizione, impongono restrizioni, limitano le nostre scelte, ostacolano la creatività e sconvolgono la nostra posizione indipendente come designers. Tuttavia, quanto più noi continuiamo a condividere e scambiare, tanto più il bisogno di piattaforme comuni s’imporrà in tutti gli aspetti della nostra cultura.

Ciò non significa che un sistema debba sostituire l’altro. A volte i sistemi open realizzeranno progetti migliori, mentre altre volte i sistemi tradizionali prevarranno. Entrambi i sistemi continueranno ad esistere, talvolta potrebbero mescolarsi dando vita a sistemi ibridi.

Progettare entro determinati standard comuni richiede una mentalità diversa da tutte le parti interessate al processo di progettazione. Per accettare e abbracciare le nuove opportunità che emergono da una “limitazione” comune, dobbiamo riconoscere che siamo parte di un “tutto” più grande. È necessario superare il mito del creare “qualcosa di nuovo”, qualcosa che “non è stato fatto prima”. Questa nuova mentalità danneggerà gravemente l’ideale romantico del “designer-creatore” e lo sposterà verso il “designer-collaboratore”. “….un bel punto di vista sul quale riflettere”.

Testo tratto dal lavoro di tesi.